giovedì 15 ottobre 2015

Primavera di Sandro Botticelli


Dipinto a tempera su tavola (203x314 cm) del 1482 circa.
Realizzata per la villa medicea di Castello; attualmente,  è conservata a Galleria degli Uffizi a Firenze.

Storia
Eseguito per Lorenzo di Pierfrancesco de' Medici (1463-1503), governare Firenze.
Originariamente collocato nel Palazzo di via Larga, a riferirlo è il Vasari (afferma infatti di averla vista nel 1550).
Da una annotazione di quest'ultimo deriva il nome da oggi canosciuto ("Venere che le Grazie fioriscono, dinotando Primavera").
Nel 1853 venne trasferita alla Galleria dell'Accademia per lo studio dei giovani artisti che la frequentavano.
Nel 1919 viene trasferita definitivamente agli Uffizi.
L'allegoria di Venere, al centro del dipinto, sarebbe legata a un oroscopo di Lorenzo, (affermato in una lettera di Marsilio Ficino a lui indirizzata; in cui lo esortava a ispirare il proprio agire alla configurazione astrale di Venere e Mercurio).
Descrizione
In un bosco ombroso,che forma una sorta di esedra di aranci colmi di frutti e arbusti sullo sfondo di un cielo azzurrino, sono disposti nove personaggi, in una composizione, bilanciata e simmetrica, attorno a una donna dal drappo rosso e verde su una veste setosa
Il suolo è composto da un prato verde, disseminato da una infinita varietà di specie vegetali e un ricchissimo campionario di fiorinontiscordardiméirisfiordalisoranuncolo,papaveromargheritaviolagelsomino, ecc.
Adolph Gaspary, nel 1888 (basandosi anche sulle indicazioni del Vasari), identificaI personaggi e l'iconografia.
Cinque anni dopo, Aby Warburgarticolò una descrizione che venne accettata da tutta la critica.
Nel boschetto di aranci "il giardino delle Esperidi", l'opera deve essere letta da destra verso sinistra,  Zefiro (o Borea), vento di primavera che piega gli alberi, rapisce per amore la ninfa Clori (in greco Clorìs), mettendola incinta; ella si trasforma in Flora, la personificazione della primavera rappresentata come una donna dallo splendido abito fiorito che sparge a terra le infiorescenze che tiene in grembo.
Al centro della scena campeggia Venere, incorniciata da arbusti, che sorveglia e dirige gli eventi, quale simbolo neoplatonico dell'amore più elevato.
Sopra di lei vola suo figlio Cupido, mentre a sinistra si trovano le tre tradizionali compagne vestite di veli leggerissimi, le Grazie, intente in una danza armoniosa in cui muovono ritmicamente le braccia e intrecciano le dita.
Chiude il gruppo a sinistra Mercurio, con i tipici calzari alati, che con il caduceo scaccia le nubi.

Interpretazioni[modifica | modifica wikitesto]

Come succede per altri grandi capolavori del Rinascimento, la Primavera nasconde vari livelli di lettura: uno strettamente mitologico, legato ai soggetti rappresentati, la cui spiegazione è ormai appurata; uno filosofico, legato alla filosofia dell'accademia neoplatonica e ad altre dottrine; uno storico-dinastico, legato alle vicende contemporanee ed alla gratificazione del committente e della sua famiglia.
Queste ultime due letture, con le rispettive ramificazioni possibili, sono più controverse, ed hanno registrato i molteplici interventi di studiosi e storici dell'arte, senza tuttavia giungere a un risultato definitivo o almeno ampiamente condiviso.

Lettura legata al committente[modifica | modifica wikitesto]

Mercurio
Una prima serie di interpretazioni lega i personaggi mitologici del dipinto a individui fiorentini dell'epoca, come in una mascherata carnevalesca, e alla loro celebrazione tramite rappresentazioni simboliche delle loro virtù[2].
Partendo dall'inventario mediceo del 1498Mirella Levi D'Ancona ha ipotizzato che il dipinto possa essere l'allegoria del matrimonio tra Lorenzo di Pierfrancesco de' Medici e Semiramide Appiani; Botticelli lo avrebbe oltretutto eseguito in due momenti successivi, perché l'opera era stata inizialmente commissionata da Giuliano de' Medici in occasione della nascita del figlio Giulio (futuro papa Clemente VII), avuto con Fioretta Gorini che egli avrebbe sposato in gran segreto nel 1478.
Ma come è noto Giuliano morì nella congiura dei Pazzi ordita contro il fratello in quello stesso anno, un mese prima della nascita del figlio, per cui il quadro incompiuto venne "riciclato" dal cugino qualche tempo dopo per celebrare le sue nozze, inserendovi il suo ritratto e quello della moglie, che si diceva essere donna dall'estrema bellezza. Il gruppo di destra rappresenterebbe l'istintualità e la passionalità notoriamente condannate dal neoplatonismo perché portatrici di atteggiamenti irrazionali.
Secondo questa interpretazione i personaggi raffigurerebbero:
  • Venere = Fioretta Gorini (prima versione), poi l'Amore Universale
  • Mercurio = Lorenzo di Pierfrancesco
  • Tre Grazie = Amore humanus (la Grazia al centro ha le sembianze di Semiramide Appiani), cioè spirituale, puro, elevato, secondo i principi dell'umanesimo platonico
  • Zefiro-Cloris-Flora = Amore Ferinus (carnale)
I fiori presenti nella scena alluderebbero a vari significati matrimoniali: fiordalisi, margherite e nontiscordardimé alludono alla donna amata, i fiori d'arancio sugli alberi sono ancora oggi un simbolo di felicità matrimoniale, così come la borrana che si vede sul prato[4].
In base ad altri ritratti dipinti da Botticelli o da altri artisti della sua cerchia, nei vari protagonisti della rappresentazione sono stai individuati vari personaggi di casa Medici. Trattandosi però spesso di opere altamente idealizzate, si tratta per lo più di semplici ipotesi, più o meno suggestive.
In particolare nelle tre Grazie sono state riconosciute Caterina Sforza (a destra), confrontando con la Santa Caterina d'Alessandria (sempre di profilo) nel Lindenau-Museum di Altenburg, e Simonetta Vespucci (al centro), la fonte di ispirazione per la Nascita di Venere, che guarda sognante verso Mercurio-Giuliano de' Medici[2].

Lettura storica[modifica | modifica wikitesto]

Secondo Horst Bredekamp, che data la tavola a non prima del 1485, oltre alle evidenti implicazioni filosofiche, si dovrebbe considerare il dipinto come allegoria dell'età medicea, intesa come età dell'oro, ma sotto la guida di Lorenzo di Pierfrancesco e non del Magnifico, confermandone così la committenza. La presenza di Flora sarebbe pertanto un'allusione a Florentia e dunque alle antiche origini della città.
Si tratta di un'interpretazione che tiene notevolmente conto di numerose implicazioni di carattere storico e politico dell'epoca e che riprende la generale tendenza degli ultimi decenni a "smitizzare" la figura del Magnifico in favore del ramo cadetto della famiglia, cui verrebbe attribuita un'importanza forse per molto tempo rimasta sconosciuta ma non ancora pienamente verificata.
Le altre figure sarebbero città legate in vario modo a Firenze: Mercurio-Milano, Cupido (Amor)-Roma, le Tre Grazie come PisaNapoli e Genova, la ninfa Maya come Mantova, Venere come Venezia e Borea come Bolzano.

Lettura filosofica[modifica | modifica wikitesto]

Sicuramente nella Primavera il mito venne scelto per rispecchiare verità morali, adottando un tema antico, quindi universale, ad un linguaggio del tutto moderno[5].
Il primo critico a mettere il dipinto direttamente in relazione con la cerchia di filosofici neoplatonici frequentata da Botticelli fu Aby Warburg nel 1893, che lesse la Primavera come la trasposizione di un distico diAngelo Poliziano, ricco di citazioni letterarie antiche. Sarebbe quindi la rappresentazione di Venere dopo la nascita (raffigurata nell'altro celebre dipinto della serie), durante l'arrivo nel suo regno[2].
Ernst Gombrich, nel 1945, e, dopo di lui, negli anni cinquanta Wind e negli anni sessanta Panofsky, lessero la Primavera addirittura come il manifesto del sodalizio filosofico ed artistico dell'Accademia di Careggi. Vi si narrerebbe come l'amore, nei suoi diversi gradi, arrivi a staccare l'uomo dal mondo terreno per volgerlo a quello spirituale[2].
La scena si svolgerebbe nel giardino sacro di Venere, che la mitologia colloca nell'isola di Cipro, come rivelano gli attributi tipici della dea sullo sfondo (per es. il cespuglio di mirto alle sue spalle) e la presenza di Cupido e Mercurio a sinistra in funzione di guardiano del bosco, che infatti tiene in mano un caduceo per scacciare le nubi della pioggia (anche se egli viene insolitamente raffigurato in una posizione che lo rende estraneo al resto della scena). Le Tre Grazie rappresentavano tradizionalmente le liberalità, ma la parte più interessante del dipinto è quella costituita dal gruppo di personaggi sulla destra, con Zefiro, laninfa Cloris e la dea Flora, divinità della fioritura e della giovinezza, protettrice della fertilità. Zefiro e Clori rappresenterebbero la forza dell'amore sensuale e irrazionale, che però è fonte di vita (Flora) e, tramite la mediazione di Venere ed Eros, si trasforma in qualcosa di più perfetto (le Grazie), per poi spiccare il volo verso le sfere celesti guidato da Mercurio[2].
Oltre alle teorie di Marsilio Ficino e la poetica del Poliziano, Botticelli s'ispirò anche alla letteratura classica (Ovidio e Lucrezio), soprattutto per quanto riguarda la metamorfosi di Cloris in Flora; tuttavia, il centro focale della composizione è Venere, che secondo l'ideologia neoplatonica sarebbe la rappresentazione figurata del suo mondo secondo il seguente schema:
Le tre grazie
  • Venere = Humanitas, ovvero le attività spirituali dell'uomo
  • Tre Grazie = fase operativa dell'Humanitas'
  • Mercurio = la Ragione, che guida le azioni dell'uomo allontanando le nubi della passione e dell'intemperanza
  • Zefiro-Cloris-Flora = la Primavera, simbolo della natura non tanto intesa come stagione dell'anno quanto forza universale ciclica e dal potere rigenerativo.
PerErwin Panofsky ed altri storici dell'arte, e non solo, la Venere della Primavera sarebbe la Venere celeste, vestita, simbolo dell'amore spirituale che spinge l'uomo verso l'ascesi mistica, mentre la Nascita raffigurerebbe la Venere terrena, nuda, simbolo dell'istintualità e della passione che ricacciano gli individui verso il basso[2].
Numerose sono le proposte di lettura per le Grazie. Il loro movimento di alzare e abbassare le braccia ricorda filosoficamente il principio base dell'amore (da Seneca), la Liberalità, in cui ciò che si dà viene restituito[4]. Esse possono rappresentare anche tre aspetti dell'amore, descritti da Marsilio Ficino: da sinistra, la Voluttà (Voluptas), dalla capigliatura ribelle, la Castità (Castitas), dallo sguardo malinconico e dall'atteggiamento introverso, e la Bellezza (Pulchritudo), con al collo una collana che sostiene un'elegante prezioso pendente e dal velo sottile che le copre i capelli, verso la quale sembra stare per scoccare la freccia Cupido[4]. Secondo Esiodo le tre fanciulle divine sono invece Aglaia, lo Splendore, Eufrosine, la Gioia e Talia, la Prosperità.Latinizzate divennero Viriditas, Splendor e Laetitia Uberrima ovvero l'Adolescenza, lo Splendore e la Gioia Piena, o Letizia Fecondissima (Marsilio Ficino nel "de amore").
Claudia Villa (italianista contemporanea) è portata a considerare che i fiori, secondo una tradizione che ha origine in Duns Scoto, costituiscono l'ornamento del discorso e identifica il personaggio centrale nella Filologia, per cui riferisce la scena alle Nozze di Mercurio e Filologia rovesciando anche le identità dei personaggi che stanno alla nostra destra. Così la figura dalla veste fiorita è da vedersi come la Retorica, la figura che sembra entrare impetuosamente nella scena come Flora generatrice dipoesia e di bel dire, mentre il personaggio alato, che sembra sospingere più che attrarre a sé la fanciulla, sarebbe un genio ispiratore.
In tale contesto interpretativo diventa difficile giustificare i colori freddi con cui è rappresentato il personaggio, a meno che l'autore non volesse affidare a questa scelta la smaterializzazione e il carattere spirituale dell'ispirazione poetica. Può risultare invece più comprensibile il disinteresse alla scena che sembra mostrare Mercurio, dio dei Mercanti...

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